giovedì 17 marzo 2011

è tutto un attimo

è stato un attimo. Un unico, misero, momento di distrazione.
Mi sono fermata cinque minuti in più all’asilo.
Giusto il tempo di sorseggiare mezza tazza di caffè. Solo un istante per ringraziare la psicologa del colloquio di qualche tempo fa (colloquio dal quale è emerso che io avrei bisogno di circa 15 anni di psicoanalisi per riuscire a raggiungere l’equilibrio mentale, ma mia figlia può dirsi praticamente normale).
Un errore fatale!                      
Infatti, proprio mentre chiacchieravo amabilmente con la psicologa, allungando le orecchie, ho sentito distintamente:
“Giacomino ha avuto l’influenza gA-strO-INTESTINale! Un inferno! speriamo che adesso sia finita!”.

Per fortuna, la pupa ce l’ha già avuta a Natale, ho pensato, ignorando il fatto che gli adulti non sono immuni a certe malattie.
E infatti. Mentre ascoltavo quella frase, milioni di bacilli stavano sguazzando nella mia tazza di caffè e centinaia di microbi nuotavano nell’aria verso le mie vie respiratorie.
Quella sera stessa, la passavo abbracciata al water chiedendomi quando e come fossi riuscita a mangiare tutta la roba che mi usciva dalla pancia.
Che fa il cibo quando arriva nello stomaco, si moltiplica come i pani e i pesci?
Benché potessi farlo ad occhi chiusi, il percorso fra letto e bagno era una lotta contro il tempo e gli elementi, ché mi sentivo come sopra al Titanic durante l’affondamento (peccato che, come al solito, di Di Caprio nemmeno l’ombra).
Tanto per non farsi mancare niente, mentre io combattevo con il mare in tempesta, la pupa ricadeva nell’abisso dell’otite.
Le mie sedute da fratello water erano dunque intramezzate dai suoi lamenti per il mal d’orecchio.
Probabilmente, non è da brava mamma, ma al terzo lamento, senza sentire il medico, ho ripreso l’antibiotico e gliel’ho dato.
Abbiate pietà. Non si può pretendere di meglio da una che lotta contro i flutti in tempesta per andare a vomitare in santa pace e intanto deve consolare una bimba piagnucolosa.
A tutto c’è un limite.
Dopo tre giorni, ancora stiamo male.

La pupa si lamenta meno, ma ha la febbre.
Ma ci credo io! Alle quattro di notte fa rave party con i sette nani!
Eh sì, alle quattro e qualcosa, posso giurarlo, attacca a cantare: “andiam andiam andiam a lavorar”.
Nella scaletta musicale inserisce anche altri pezzi, molti di sua invenzione, e finisce la festa con dei comizi incomprensibili:  
“Papà preso pallina! Io allabbiata. Papà battivo. I bravi Papà non prende palline”,
o anche
“Pisolino mio! Pisoletto! piccolo mio dove sei? ah eccoti, tu battivo! tu lubato calamelle! adesso io mette te in punizione!”.

Io son passata dal Titanic a una barchetta in balia delle onde, è vero, ma è comunque un’esperienza poco piacevole.
Del resto, guarire da un malanno stando a casa con i bambini è quasi impossibile.
Guarire da un malanno stando a casa con i bambini malati è decisamente impossibile.
Se poi ci aggiungiamo un boss con sindrome da nido vuoto che chiama a tutte le ore, il cliente che non sa allacciarsi le scarpe da solo, ma è capacissimo di rintracciarmi anche a casa (e ci scommetto mi avrebbe trovata anche sul Titanic), i nonni onnipresenti,  è chiaro che non guarirò mai.
Non prima di essere tornata a lavoro, comunque.

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