sabato 4 febbraio 2012

Come i biscotti a merenda

La città è sotto la neve. È uno spettacolo surreale e bellissimo. Piacevole da guardare con la faccia incollata alla finestra e le mani ben piantate sul termosifone.

Peccato che la città in questione non sia propriamente un passo di montagna.

Peccato che la nevicata sia andata avanti ininterrottamente per quasi 24 ore.

Peccato che i 3 cm di neve siano diventati 30.

Peccato che gli approvvigionamenti domestici scarseggino e che i supermercati, raggiungibili solo a piedi, siano chiusi.

Peccato che la casa dell'avv. Mommy & co. sia collocata su una salita al 70% di pendenza, una salita che - ora - somiglia sempre più ad una pista di sci (ma nessuno in casa Mommy sa sciare).

Peccato che la tata - incurante delle previsioni meteo - si sia data alla macchia (prudentemente vestita di bianco. Sembra che le tate in libertà sviluppino una certa predisposizione al mimetismo).

Peccato che l'Orco – saggiamente recatosi a lavoro prima della nevicata – abbia deciso di restare fuori per la notte, perché ad impossibilia nemo tenetur e lui, con l'auto 4X4, le gomme da neve e le catene di emergenza, non può proprio tornare a casa per la notte (e dire che qui sotto è appena passata una 126 rossa del 1969, senza catene – forse era persino senza ruote, ma saliva a tutta birra). Molto meglio restare in hotel a 5 stelle con le orchette e mollare me sola con i pupi.

Peccato che alla caduta del primo fiocco i pupi delle latitudini sud si trasformino in belve assetate di sangue (quelli del nord subiscono analoga metamorfosi alla vista del mare), mostri capaci di passare sopra il cadavere della madre pur di scendere a giocare con la neve.


Sì, proprio bella la neve. Un toccasana per lo spirito della pluripara abbandonata.

Ecco quindi che, per sopravvivere alla stagione invernale, la madre sola deve improvvisare infinite attività casalinghe. Pittura, abluzioni (lunghi bagni caldi…per i pupi, è chiaro. Le madri, di solito, riescono a strappare una doccia notturna bisettimanale, consumata in fretta e furia e al buio), architettura di interni ed esterni (ovvero traslochi di mobili e cuscini per creare fantasiosi rifugi e costruzioni lego) e – sopra tutto – cucina. Torte, biscotti, pizze vanno per la maggiore (una maternità equivale ad un master all’accademia del gambero rosso, due maternità a due stelle Michelin).


E così, verificata la presenza in casa di cioccolata, burro e farina (le uniche cose di cui la dispensa è sempre fornita), ho deciso di costringere tutta la famiglia in cucina.

In quei luoghi, è fondamentale mettere in sicurezza i pupi.

 Uno –  il signor fissatette – è sistemato nella carrozzina (a fissare le tette, appunto) e gli viene intimato il silenzio.

 L’altra è legata ad una delle sedie della cucina e, dopo circa un’ora di urla, strepiti, botte in testa e morsi al tavolo, si dimostra disponibile a preparare alcuni biscotti.

A quel punto, viene liberata e può sedersi sopra il bancone della cucina, pronta ad afferrare la farina e spargerla per la casa.

Ora, come tutti sanno, i dolci sono molto più buoni crudi che cotti (che cavolo li cuciniamo a fare?). Ma la buona madre di famiglia DEVE assolutamente cuocere i biscotti e, soprattutto, DEVE assolutamente impedire ai figli di mangiare l’impasto crudo (ma perché?).

E così anche io – dopo aver furtivamente ingurgitato parte dell’impasto a crudo – intimo alla pupa di mollare la presa e smetterla di mangiarsi i biscotti prima che vengano infornati, pena infernali dolori de panza e un sacco di botte.

Alla fine,  parte la scherzosa invettiva:

“BASTAA! Ti espello dalla cucina. Anzi, guarda che tu, i tuoi figli, i figli dei tuoi figli verrete banditi per sempre dalla cucina!! Fuoriiii” urlo.

Ma lei ribatte “No, mamma! Tu e i tuoi figli sarete RIMBAMBITI per sempre!!”