lunedì 30 gennaio 2012

No epidurale? No parto.

E va bene, confesso! Questa gravidanza è stata di gran lunga meno pesante della precedente.

Il primo trimestre, potevo quasi dimenticare di portare l’Abusivo nella pancia. È vero, un paio di volte ho vomitato, lo ammetto. Ma è stato subito dopo un trasbordo aereo per una sede sperduta del Cliente. E io, si sa, soffro di mal d’auto. E di mal d’aria. E di mal di mare. Insomma, vomito anche dopo aver preso l’ascensore.

Senza contare che la visione del cliente provoca sempre fitte all’addome e forti giramenti di testa.

Il secondo trimestre, ho scalato le montagne. E ancora entravo nei miei vestiti. Riuscivo ad indossare persino i jeans. Certo, la lampo si apriva da sola, accompagnata da un rumore simile a quello che può produrre un calabrone ubriaco (e cioè, zzzzz – pausa – zzz-zz-zzzz – pausa, zzzzz – pausa, stock). E certo, qualcuno se ne sarà pure accorto. Però, che soddisfazione mettere jeans non pre-maman in gravidanza!

L’ultimo trimestre è il più duro. Eppure, questa volta, sono riuscita ad evitare le gambe modello Sora Lella e solo nelle ultime settimane ho preso ad assomigliare sempre più – nel fisico, nella postura e nei movimenti – alla versione del Pinguino di Danny De Vito.

Insomma, devo ammetterlo, il Clandestino ha fatto il bravo feto, confermando purtroppo le voci che corrono sulle gravidanze: pessime quelle delle femmine, fantastiche quelle dei maschi.

Ma era ovvio che l’Alien presentasse il conto, prima o poi.

E Infatti.

Ormai prossima all’esplosione, Il 4 gennaio mi reco in clinica per essere monitorata. Benché siano giorni – e notti – che sopporto in silenzio dolorosissime contrazioni, entro convinta che mi rimandino a casa, insultando il collo del mio utero che non è incline ad accorciarsi e aprirsi al mondo prima che siano decorse le 40 settimane di gestazione.  

Ma l’ostetrica  non vuole mollarmi più, manco fosse colta da improvviso e irresistibile trasporto nei miei confronti.

Non si fa così, però. Non sono pronta. Ho ancora la valigia per la clinica a metà (e a casa). Ho assicurato alla Pupa che sarei tornata presto e fra due giorni è la befana e io non ho ancora la calza.

Così, fuggo.

Non paga, prima di rincasare e decidermi una buona volta a mettermi tranquilla,  faccio visita al supermercato, tanto per dotare la famiglia di beni di prima necessità che possano assicurare loro la sopravvivenza in mia assenza: kinder, caramelle e nutella.

Ovviamente, durante il pellegrinaggio fra i kinder, le contrazioni si fanno più frequenti. A casa, non mi mollano proprio più. Alla fine, rinuncio a malincuore alla pizza ai 4 formaggi e ritorno in clinica.

Il tempo in certi momenti non può essere misurato. Io sono convinta di aver passato ore fra atroci tormenti; in realtà, è stato tutto molto veloce.

Alle nove e qualcosa, vengo condotta in sala travaglio e rispondo alle domande dell’infermiera. Ogni tanto, devo interrompere le chiacchere per una imprecazione mentale: è una contrazione.

Alle nove e trenta, continuo a rispondere alle domande, ma l’infermiera deva fare attenzione a non scrivere proprio tutto quello che dico: le imprecazioni vengono pronunciate a voce alta e tonante.

Alle dieci, ho rinunciato a vivere dignitosamente il dolore, a mantenere il pudore e quell’allure di donnaconlepallechenoncedemai che mi porto dietro, e urlo come una pazza.  Io. E cioè quella che ha sempre sentenziato, innanzi alle partorienti ulranti: “che vergogna! Un po’ di dignità, non c’è alcun bisogno di urlare!”

Alle dieci e dieci, riacquisto la lucidità per un attimo e riesco ad inveire contro l’orco: “Ti devono venire i calcoli renali grossi come patate, bastardo!”. Poi, torno ad essere assolutamente indegna.

Alle dieci e venti, imploro l’epidurale e caccio definitivamente via dalla clinica l’Orco con parole più o meno simili a queste “VIAAA mandatelo via, è tutta colpa sua!!”

Alle dieci e trenta, alle parole “è di quattro centimetri” scambiate fra ostetrica e ginecologo, scatto su come una posseduta dal demonio, sbottando con voce non mia: “ma come 4 centimetri, cazzo??? Come è possibile solo 4???”.

Alle undici, durante un breve intervallo fra le grida, chiedo “nascerà comunque il 5, vero dottore? Ho detto a tutti che nasceva il 5”. Ricevute le dovute rassicurazioni, torno ad urlare cose irripetibili.

Alle undici e quindici, è ormai chiaro che l’epidurale non ha funzionato. Credo l’abbiano capito anche gli inquilini del numero 18, laggiù in fondo alla strada.

Alle undici e trenta, un ultimo disperato tentativo di anestetizzarmi in qualche modo.  Secondo me, è fallito.

Alle undici e cinquantacinque, l’Alien esce. Cinque minuti prima della data da me pronosticata e annunciata al mondo come l’ultima rivelazione di Fatima. Che carino!

Subito, me lo posano sulla pancia (lavarlo prima sarebbe veramente molto sbagliato?).

Lo guardo e noto con preoccupazione che è tale e quale a Yoda, il maestro jedi di guerre stellari, con le orecchie a tortellino ripiegate su loro stesse e la faccia rugosa di un vecchietto.

Le infermiere si avvicinano e mi chiedono: “come si chiama questo giovanotto, signora?”

Io le guardo e dico “Ultimo”.

Il medico mi lancia uno sguardo d’intesa e mi fa “diciamo pure Definitivo!”.

sabato 28 gennaio 2012

La punizione divina

Il 31 maggio 2011 scrivevo: non ho avuto figli maschi (grazie al cielo!)…

Da giugno, su questo blog, un grande silenzio.

Chi – dei due lettori che non sono amici o parenti - indovina cosa mi è occorso in questi lunghi mesi di assenteismo?

Ebbene, sì. Dio esiste ed è fortemente vendicativo. Quanto meno, dispettoso.

Esiste e adesso se la ride alle mie spalle. A dire il vero, sono già parecchi mesi che se la gode a guardarmi. Ma da un mese a questa parte si sta proprio sganasciando.

Beh, ormai è chiaro. Ad aprile di quest’anno, sono rimasta incinta. Come è successo? Per colpa di chi? Quando?

Non è dato sapere. Certo, dovrei avere la maturità necessaria per avere un’idea approssimativa di come nascano i bambini. Una laurea, una figlia treenne, una certa esperienza con uomini più o meno affetti da orchite, e invece ci resto fregata come una qualsiasi adolescente inesperta.

O forse no. Forse la colpa è tutta dell’Orco. Certamente è così. Probabilmente, io non ero nemmeno cosciente durante il fatto. Quasi sicuramente, dormivo.

Comunque, fu proprio durante il funerale di mia nonna. Cioè, qualche ora prima (insomma, non è che ci siamo rotolati sulla bara della cara estinta). Del resto, si sa. La morte si esorcizza sempre con la vita. E così, quella lontana mattina di aprile - come si dice da queste parti - ci sono rimasta. Di nuovo.

Come se non bastasse, il piccolo invasore era portatore del cromosoma monco, quello che produce quegli esseri inferiori comunemente definiti “maschi”.

Ed ecco che, all’ecografia di non ricordo più quale tragico mese, il medico mi disse “guardi, signora, è un maschio”

“Ma come dottore! Ne è sicuro? guardi che quella è la testa!!” balbettai io, in preda alla disperazione.

“Signora” mi rispose, mentre mi guardava comprensivo “quello è indiscutibilmente il sedere , poi, per carità, può darsi che suo figlio avrà anche una testa di cazzo, ma questo l’ecografia non ce lo può dire”.
Eh, l'ecografia no, ma la genetica sì.
E infatti, proclamai: “ha preso tutto dal padre, il pisello e pure la testa!”.