lunedì 28 marzo 2011

Pronto Nonno

Esiste un telefono per ogni problema.
Non mi riferisco ai cellulari di ultima generazione, quelli che promettono di risolverti la vita, tenendoti in contatto perenne e continuo con il resto del mondo, e che invece te la rendono impossibile; primo perchè per imparare ad usarli perdi due anni di vita e ti sale la pressione alle stelle, secondo perchè restare sempre connesso, raggiungibile anche quando finalmente ti sei concesso la ceretta o stai vomitando in bagno o mangiando mezza ciotola di insalata scondita, è quanto di peggio possa capitare nella vita.

Parlo dei telefoni "amici", quei centri di ascolto che aiutano le persone in difficoltà.
Un'iniziativa, senza dubbio, di enorme importanza, che va sostenuta e incoraggiata.
Come ho detto, esiste un telefono praticamente per tutti.

Per le persone sole, c'è il telefono amico.
Per i bamini, c'è il noto telefono azzurro.
Per le donne maltrattate, c'è il telefono rosa.
C'è persino il telefono nonno.
Non sono riuscita a reperire informazioni su quest'ultimo (ho solo visto i cartelloni per le strade della città).
Immagino, quindi, che si tratti di un numero verde dedicato ai nonni.
Eh sì, perchè se fosse un centro di ascolto per anziani, magari soli, si chiamarebbe  "telefono vecchio" o, tanto per non far pensare ad un centro di ricovero per i telefoni SIP da muro, "pronto Anziano".
Mi viene quindi da credere che il Telefono nonno si rivolga proprio ai nonni.
Questi nonni maltrattati, vittime della natalità, presi in ostaggio 12 ore su 24 dai nipoti.
Questi nonni costretti a camminare a quattro zampe, a spingere pesantissimi passeggini su per le salite, a sostenere gobbi e ansimanti le biciclette, a giocare a pallone sotto il sole cocente.
Questi nonni obbligati a sedute ininterrotte di baby sitting fine settimanali, a trascorrere le vacanze con tre, quattro nipoti al seguito, alle conseguenti discese al mare, con carovana di pupi e carico di giochi al seguito, o, peggio, alle salite in montagna con bimbi urlanti e sfaticati.

Quando ho saputo del telefono nonno, per un attimo, ho pensato con pena alla oberata categoria nonnesca. Poi, ho cominciato a provare un certo fastidio.
Non  per il fatto che potrei maltrattare i "miei" nonni più e meglio, ma per la consapevolezza che la categoria cui io appartengo non è in alcun modo rappresentata.
Non v'è alcun telefono cui può appellarsi la mamma in difficoltà.
Nessun numero da chiamare quando, la notte, alla trentaduesima levataccia per urla di pargola, la mamma è in lacrime e in preda al delirio.
Nessuna voce amica da interpellare all'ora dei pasti, quando il grido "non VoLIO" si leva alto nel cielo insieme al piatto di spaghetti o passato di verdure appiccicoso (che, poi, però, ricade sulla testa della mamma appena uscita dal parrucchiere, dopo 2 anni di assenza forzata dai saloni di bellezza).
Nessun "amico", telefonico o meno, cui rivolgersi, quando la cacca fuoriesce dal pannolino, si spalma sul fasciatoio, sulle mani , sui vestiti di adulti e bambini, obbligando la mamma a trenta lavatrici di emergenza e ad un bagnetto supplementare, nonostante siano le tre di notte.

La verità è che con la maternità si rinuncia al proprio tempo, alla libertà e al diritto di denunciare i quotidiani e ripetuti maltrattamenti  subiti dai propri figli.
Nell'attesa che un unico sorriso dei pargoli faccia dimenticare le fatiche e i maltrattamenti subiti, l'unica facoltà che resta alle mamme è lamentarsi, in particolare con nonni e mariti.
Per farlo al meglio, suggerisco a tutte di regalare all'intero clan familiare un telefonino di ultima generazione, così che tutti siano sempre connessi e possano partecipare in diretta ai risvegli notturni, alle scariche di diarea e ai gioiosi pasti in famiglia.

venerdì 25 marzo 2011

Reincarnazioni

é da qualche tempo che mi lascio coinvolgere in riflessioni sui massimi sistemi.
Chi siamo? Da dove veniamo? Dove andremo?
Chi mi ha spinto a simili elucubrazioni filosofiche (altrimenti dette, pippe mentali)?
La pupa, naturalmente.
Da quando ha acquisito l'uso della parola e la capacità di elaborare frasi apparantemente corrette, ha gettato l'intera famiglia nel dubbio.
Arricchisce le nostre giornate con racconti sospesi tra lo stravagante, l'improbabile e l'assurdo.
E infatti, pur volendo ammettere che quando parla dei cavalli verdi da cavalcare si riferisca ad un sogno e che quando racconta di un metodo facile per fare i soldi (entrare in non so quale posto e spingere non so quale pulsante, ... un grilletto?) stia inventando di sana pianta, ci sono alcune dei suoi racconti che, mascherati di pura razionalità, alimentano una serie di ragionevoli domande.

Ecco cosa mi ha detto l'altra sera.
"cosa fai mamma?"
"Taglio i finocchi"
"io aiuto te"
"NOO, sto usando il cottellaccio, non si può! Il coltello è molto pericoloso e lo usano solo i grandi"
"ah Sì, è vero. Infatti, quando io ERO Grande talliavo tutte le verdure"
"Eh? Forse vuoi dire quando Sarai grande, TaglieRAI le verdure"
"no, no, Mamma! quando io ero grande talliavo le verdure"
"ma dove?"
"giù al fiume"
...
"Ah! e chi altro c'era con te? C'era mamma? Papà?"
"no, no. C'era i caballi, io preparava la pappa ai caballi"

Dopo tali affermazioni, é chiaro che una mamma si ponga delle domande.
Mia figlia è pazza, ha parecchia fantasia o ha la memoria di una vita passata?

Confesso che l'idea della reincarnazione mi ha sempre affascinata.
Come sarebbe bello sapere che si continua a campare in eterno, facendo ogni volta nuove esperienze  (pazienza se in una delle vite finiamo in padella, andrà meglio la prossima volta).
é un pensiero rassicurante.
Molto più dell'idea di una vita in paradiso, dato che tocca arrivarci e sembra che non sia semplice.
Molto più del pensiero di finire all'inferno (cosa praticamente certa, visto che non mi basterebbero tre vite per farmi perdonare i peccati di una).
Insomma, non ho voglia di rendere la mia vita un inferno solo per andare in  paradiso. Né ho alcun desiderio di godermi un paradiso quaggiù, con la prospettiva di passare l'eternità cotta in graticola (va bene una vita, ma tutta l'eternità è veramente un po' troppo). 
Che poi viene da chiedersi che gran casino siano paradiso e inferno (soprattutto questo). Sarebbero infatti milioni di anni che le anime dei defunti passano oltre e si recano in quei luoghi.
Cavolo, ma quando toccherà a me, ci sarà posto o dovrò prima notificare uno sfratto?
Francamente, preferisco non andarci.
Tremo al solo pensiero di passare da una coda sulla tangenziale ad una per entrare all'altro mondo!
Ho vissuto a Roma, ho già dato!
Molto meglio restare qui e rinascere gatto (possibilmente non nero e non per strada, un bel gattone di casa, meglio ancora uno dei gatti delle mie amiche! ah quella sì sarebbe una vita degna di essere vissuta!).

Quello che mi preoccupa, dunque, non è l'idea della reincarnazione in sè e nemmeno mi sconvolge pensare che mia figlia abbia ricordi di una vita passata.
Quello che mi preoccupa è sapere chi diamine era prima!!
Eh sì, perchè visto quello che combina ogni giorno e sentiti i racconti che fa, mi sta venendo il sospetto che io abbia partorito Calamity Jane!

martedì 22 marzo 2011

è primavera

é primavera.
L'aria è più calda, splende il sole, gli uccellini cinguettano, gli alberi sono in fiore.
Da un paio di giorni,  sembra che la pioggia abbia lasciato il posto al sereno.
Ci sentiamo tutti più stanchi, ma pronti alla rinascita.
é giunto il momento di spiegare alla pupa cosa sono le stagioni.

Metto Vivaldi in sottofondo e mi preparo alla lezione.
Arriva l'orco.
"ma tu lo conosci questo? chi è?"
Ma come chi è, diamine? Ma che razza di uomo ho sposato? Non è un orco, è un troglodita. C'ha più di duemila cd e non conosce i padri fondatori della musica!
Vivaldi, poi, è l'autore più  inflazionato della storia della musica.
L'hanno usato per la pubblicità di ogni bene di consumo uscito dalle fabbriche di tutto il mondo, negli ultimi cento anni.
é stato la sigla di una serie infinita di programmi televisivi. E quando in uno dei Tg delle reti commerciali montano uno di quei servizi girati come un telenovelas argentina o usano Vivaldi o i Sigur Ròs. Per non parlare delle attese telefoniche! Ce l'hanno tutti, dalle pagine gialle, agli studi legali, alle forniture di "pino er re della Sarciccia"!
Ecco cosa penso.
Però, gli dico:
"QUESTO è Vivaldi, le quattro stagioni, ce l'abbiamo in MP3, Vinile e cd".
Se ne va soddisfatto.
Io posso finalmente dedicarmi alla pupa, sperando di riuscire a recuperare parte delle tare genetiche che ha ereditato dal padre.
Mi munisco di "Pimpa e il natale" e attacco.
"Vedi Pupa, qui dalla pimpa è inverno. C'è la neve e fa freddo."
"sììì, la neve" risponde entusiasta.
"poi, però, l'inverno finisce e arriva la primavera. Escono tutti gli uccellini, crescono le piante e nei prati vengono i fiori. Poi, viene ancora più caldo e i fiori diventano frutti ed è l'estate".
"e andiamo al mare"
"sì, bravissima, andiamo al mare. Poi, torniamo a casa, viene più freddo, cadono le foglie ed è l'autunno".
Mi guarda attenta. Sembra aver capito.

Finita la sessione accademica, ci prepariamo per uscire.
Io indosso uno dei miei soliti modelli - piagiamone, informale e informe. Ma sono in ordine.
La pupa è deliziosa, con un vestitino color panna a righine blu e il cappottino blu, tutto aderente (per forza, la taglia è un anno e lei ne ha due).
L'orco,  prima di uscire, è colto da un attacco acuto di  orchite.
Zompetta fino allo spogliatoio con aria indecisa, e recupera dall'armadio i capi più orrendi che esistono nel suo guardaroba ( e nel mondo intero, e nella galassia, e, probabilmente, nell'universo). Sono talmente abominevoli che quando li tira fuori dall'armadio, mi pare di sentire che quello tiri un sospiro di sollievo. Poveretto, forse crede che li abbia presi per fiondarli in un cestino.
Illuso!
Prima di essere colta da un raptus omicida, mi reco ad attendere al piano di sotto.
Quando si ripresenta al nostro cospetto,  ha i calzini uno diverso dall'altro, le scarpone nere con i teschi rossi, i pantaloni bucati che non si allacciano più sulla pancia, un golf giallo canarino con sotto una maglietta verde pisello, bucata, sporca e indossata al contrario.
Che faccio? Ci litigo tre ore per cercare di ricondurlo ad una qualche ragione estetica e mi perdo le ultime ore di sole, o lascio perdere e fingo di non conoscerlo mentre siamo per strada?
Opto per questa seconda ipotesi. Del resto, sono già abituata a fingere di non conoscere il cane ("ma di chi è questo cane che ha tolto il gelato dalle mani di mio figlio?", tacere e ostentare indifferenza, "ma signora questo cane la segue!", "ah davvero? oh poverino si sarà perso", "è sicura che non si sia suo?" "ma certo, vuole che non riconosca il mio cane?").

Nel cortile di casa, c'è un piccolo giardino.
Un quadrato di un metro per un metro di erbacce. Ma è primavera, è quindi ora ci sono anche tre o quattro margherite.
La Pupa ci si fionda. Poi mi chiama, saltellando.
"Guadda mamma, guadda! I fioli crescono!"
"sì, è vero. è la primavera, amore, te l'ha detto la mamma!".
La trascino in macchina e la sistemo sul seggiolino, mentre l'orco è già al volante.
Lei intanto ripete: "a primavera clescono i fioli, a primavera crlesce tutto".
Poi lancia un'occhiataccia davanti, mi guarda e mi dice:
"a primavere cresce tutto, però i capelli di papà non cresce, no!"
"Che vuoi amore mio" sospiro io "le stagioni sono belle, ma i miracoli non li sanno mica fare!"

lunedì 21 marzo 2011

Le mani in pasta

Dopo due anni, 3 mesi e 29 giorni mi sono presa un pomeriggio libero.
Un pomeriggio per me, senza Pupa, senza Orco, senza nessuno.
Sono andata a Panificare. Sì, insomma, ad un corso per imparare a fare il pane.

Dato che io potrei perdermi anche nel cortile di casa mia, Santo nonno mi ha accompagnato nel luogo fissato per il corso.
Un luogo che mi dicono essere compreso nel raccordo anulare. In un quartiere molto in voga a Roma. Peccato che dopo aver avuto un figlio, si faccia fatica a riconoscere anche il giornalaio in fondo alla strada. Sicché, ovviamente, non ci avevo mai messo piede in vita mia. Da sola non ci sarei mai arrivata.
A dire il vero, anche col Santo nonno, ho avuto delle difficoltà (che volete, ero io ad interpretare la mappa scaricata da Internet).
In un modo o nell'altro, comunque, sono approdata alla sede del corso.
In un bellissimo giardino, mi attendevano 15 donne-panificatrici in erba e una maestra.

Ci presentiamo e mi chiedono quale sia il mio rapporto con il pane: "principalmente me lo mangio" dico.
Le signore sorridono, ma non restano impressionate. In effetti, tutti mangiamo il pane. Io non sto a puntualizzare, chiarendo che quando dico "principalmente", intendo dire che ne mangio circa due chili al giorno, che il pane a casa mia dura meno di due ore, che appena uscito dal forno mi ci fiondo e riesco a ingurgitarne un chilo anche se incandescente, che consumo circa cinque chili di farina alla settimana, che mi nutrirei esclusivamente di quello, possibilmente farcito con una bella tavoletta di cioccolata.
Invece taccio e ascolto le altre.
Sono tutte panificatri esperte. Qualcuna ha portato dei pani da assaggiare. Naturalmente, non me ne lascio sfuggire nessuno.
Quando io sono ormai abbottata di pane, e tutte hanno ormai colto il senso della mia frase di presentazione, ci alziamo per andare in laboratorio.
La maestra comincia a spiegarci le tecniche della panificazione.
E io capisco perchè siamo solo donne.
Il pane è una metafora della maternità.

Tanto per cominciare, il lievito naturale si chiama lievito MADRE.
Ed è una cosa viva. Un misto di farina ed acqua in cui brulicano vitalissimi fermenti.
Bisogna averne cura, quasi si trattasse di un pesce rosso o di un altro piccolo animale. Un tamagoci, suggerisce sagacemente una delle mie compagne di pane.
Mai abbandonarlo, mai dimenticarlo, mai lasciarlo solo troppo tempo.
Mentre la maestra ci spiega come prenderci cura del lievito mamma, io già mi vedo partire per le vacanze estive con la macchina carica: pupa, gatta e vecchia nonna dietro, io alla guida, la nuova nonna davanti e fra di noi il lievito mamma, comodamente accoccolato in un termos.
La pupa strillerà come un' aquila da Roma a Civitavecchia, la vecchia nonna parlerà di dentiere tra Civitavecchia e Grosseto, la nuova nonna criticherà come guido dall'inizio alla fine del viaggio, e io riuscirò a vomitare sulle strade dell' Elba nonostante sia al volante.
Come farà il lievito a sopravvivere ad un tale trasbordo?
La maestra prosegue nell'esposizione, ma io ho già deciso che prima dell'estate darò il mio lievito in adozione.

"Per fare il pane bisogna rimestare il lievito naturale con acqua e farina e creare il lievitino". Spiega la nostra educatrice.
In pratica, il lievitino è il figlio del lievito madre. Traduco io.
Il lievitino, poi, diventerà pane.
Per diventare pagnotta, cito le parole della maestra "dovete insegnarli ad essere autonomo, riuscire a farlo staccare da voi e fargli percorrere la sua strada in autonomia".
In pratica, tocca tagliare il cordone ombelicare.
Insomma, non solo dobbiamo tagliarlo con le nostre madri e poi obbligare i nostri figli a tagliarlo con noi e cercare dei mariti che non se ne costruiscano uno tutto per loro, ma dobbiamo troncarlo anche al pane.
Con questo, però, ci dovremmo riuscire con tre bottarelle di mano e un pizzico di farina. Con gli altri, non basterà una vita.

La maestra spiega la tecnica: "per prima cosa dovete pulirvi le mani con la farina, se non sono perfettamente pulite non potete lavorare. Poi pulite tutta la ciotola dall'impasto appiccicato, usando le mani come spatole e quindi rivoltate il pane sulla schiena e lavoratelo sulla pancia. Il pane non si deve mai attaccare".
Ok, penso. é come cambiare un pannolino.
Raccatto tutto, sdraio il pupo sul fasciatoio, lo massaggio e lo pulisco un po' e poi lo inforno.
Mi guardo intorno e tutte procedono speditamente. Io sto ancora tentando di pulirmi le mani.
Ma come capperi si puliscono le mani con la farina?
Le mie sono sempre più sporche.
Il mio intruglio si appiccica sulle maniche, sulla camicia, sui capelli.
Quando sono ormai una statua di gesso, arriva la maestra.
Tento disperatamente di fingere il ribaltamento del panuozzo.
Sorrido. "stai facendo il movimento al contrario" mi secca. Cazzo, lo sapevo che sbagliavo qualcosa.
Ricomincio, tentando il movimento da lei suggerito. A tutte riesce benissimo. Per loro è naturale, per me è del tutto innaturale.
Mi impiccio un po' dei pani delle altre e vengo colta da un attacco di depressione fulminante. Sono tutti lisci e bianchi e ben rivoltati sulla schiena. Il mio è ancora adagiato sulla pancia, pieno di bitorzoli, appiccicato ovunque, rivoltante. Le mie mani sono ricoperte di una colla universale che mi cola sui vestiti.
Comincio ad avere dei miraggi del mio bel frullatore. Ma questo pane qui non si puà frullare, è una cosa viva. Frullarlo sarebbe come mettere la pupa nella lavatrice (ehh... e non si può, giusto?).
Provo ad insistere e comincio a parlarci : "senti pupo, è stato bello, ma ora devi diventare autonomo, ti devi staccare e andare nel forno".
Mi sembra di sentire un'eco di risa. é lui o le mie compagne?
Sta di fatto che quello di staccarsi non ne ha alcuna voglia. Non gli passa nemmeno per l'anticamera del fermento di abbandonare le mie mani e diventare una bella pagnotta. é così divertente fare il blob sui miei vestiti, perchè mai dovrebbe finire nel forno?
Alla fine, ci rinuncio e lo consegno alla maestra. Lei in quattro rapidi gesti lo rende presentabile e lo mette in incubatrice a lievitare.
Un thé e alcune chiacchere dopo, i pani sono cotti. Ce li dividiamo.
La maestra ci consegna anche il prezioso lievito mamma, pronuncia una formula meravigliosa dalla quale arguisco che il lievito che mi viene consegnato ha trecento anni e viene dalla Toscana.
Lo guardo e sento l'ansia che monta in me.
Nella mia vita, sono riuscita a far morire di tutto, dalle piante grasse al televisore.
Ed è una vita che sogno di far fuori mia madre.
Al lievito madre non do più di tre giorni.

giovedì 17 marzo 2011

è tutto un attimo

è stato un attimo. Un unico, misero, momento di distrazione.
Mi sono fermata cinque minuti in più all’asilo.
Giusto il tempo di sorseggiare mezza tazza di caffè. Solo un istante per ringraziare la psicologa del colloquio di qualche tempo fa (colloquio dal quale è emerso che io avrei bisogno di circa 15 anni di psicoanalisi per riuscire a raggiungere l’equilibrio mentale, ma mia figlia può dirsi praticamente normale).
Un errore fatale!                      
Infatti, proprio mentre chiacchieravo amabilmente con la psicologa, allungando le orecchie, ho sentito distintamente:
“Giacomino ha avuto l’influenza gA-strO-INTESTINale! Un inferno! speriamo che adesso sia finita!”.

Per fortuna, la pupa ce l’ha già avuta a Natale, ho pensato, ignorando il fatto che gli adulti non sono immuni a certe malattie.
E infatti. Mentre ascoltavo quella frase, milioni di bacilli stavano sguazzando nella mia tazza di caffè e centinaia di microbi nuotavano nell’aria verso le mie vie respiratorie.
Quella sera stessa, la passavo abbracciata al water chiedendomi quando e come fossi riuscita a mangiare tutta la roba che mi usciva dalla pancia.
Che fa il cibo quando arriva nello stomaco, si moltiplica come i pani e i pesci?
Benché potessi farlo ad occhi chiusi, il percorso fra letto e bagno era una lotta contro il tempo e gli elementi, ché mi sentivo come sopra al Titanic durante l’affondamento (peccato che, come al solito, di Di Caprio nemmeno l’ombra).
Tanto per non farsi mancare niente, mentre io combattevo con il mare in tempesta, la pupa ricadeva nell’abisso dell’otite.
Le mie sedute da fratello water erano dunque intramezzate dai suoi lamenti per il mal d’orecchio.
Probabilmente, non è da brava mamma, ma al terzo lamento, senza sentire il medico, ho ripreso l’antibiotico e gliel’ho dato.
Abbiate pietà. Non si può pretendere di meglio da una che lotta contro i flutti in tempesta per andare a vomitare in santa pace e intanto deve consolare una bimba piagnucolosa.
A tutto c’è un limite.
Dopo tre giorni, ancora stiamo male.

La pupa si lamenta meno, ma ha la febbre.
Ma ci credo io! Alle quattro di notte fa rave party con i sette nani!
Eh sì, alle quattro e qualcosa, posso giurarlo, attacca a cantare: “andiam andiam andiam a lavorar”.
Nella scaletta musicale inserisce anche altri pezzi, molti di sua invenzione, e finisce la festa con dei comizi incomprensibili:  
“Papà preso pallina! Io allabbiata. Papà battivo. I bravi Papà non prende palline”,
o anche
“Pisolino mio! Pisoletto! piccolo mio dove sei? ah eccoti, tu battivo! tu lubato calamelle! adesso io mette te in punizione!”.

Io son passata dal Titanic a una barchetta in balia delle onde, è vero, ma è comunque un’esperienza poco piacevole.
Del resto, guarire da un malanno stando a casa con i bambini è quasi impossibile.
Guarire da un malanno stando a casa con i bambini malati è decisamente impossibile.
Se poi ci aggiungiamo un boss con sindrome da nido vuoto che chiama a tutte le ore, il cliente che non sa allacciarsi le scarpe da solo, ma è capacissimo di rintracciarmi anche a casa (e ci scommetto mi avrebbe trovata anche sul Titanic), i nonni onnipresenti,  è chiaro che non guarirò mai.
Non prima di essere tornata a lavoro, comunque.

lunedì 14 marzo 2011

Fior di Mamma (spulciando fra i giornali)

Per molte mamme, l'allattamento è stato uno dei periodi più felici della vita.
Guardare negli occhi il proprio bambino mentre lo si nutre di cibo e amore è un'esperienza indimenticabile.

Per altre, l'allattamento è stato un inferno.
Guardare negli occhi il proprio bambino, mentre quello si dimena come un gatto chiuso in un sacco e distribuisce morsi e graffi al seno materno, è un'esperienza indementicabile.
Girare per le strade con una taglia di reggiseno da ippopotamo e le tette che sparano latte a destra e a manca è un'esperienza  indimenticabile.
Alzarsi la notte dalle cinque alle sei volte, per tentare di far poppare un pupo in preda alle coliche, è un'esperienza altrettanto indimenticabile.
Vivere tette al vento ad ogni ora del giorno e della notte, arrivare a contare 14 poppate al giorno, per una durata di un'ora l'una, è un'altra esperienza indementicabile.

è per queste donne, queste schiave della tetta, che voglio spezzare una lancia.
Sarò l'unica, credo.
Perchè, oggi, non v'è un esperto del settore - dall'ostetrica all'istruttore di baby nuoto - che non istighi la neo mamma all'allattamento ad oltranza, demonizzando il latte artificiale.
40 anni fa, però, era l'allattamento materno ad essere bandito! Del resto, avevano appena inventato questi latti  meravigliosi, pieni di tutto quello che serve e pronti all'uso, perchè torturare le mamme?
Le poverette, anche se di latte ne avevano a iosa, erano obbligate ad utilizzare il latte finto.
Oggi, una che non ha latte o che interrompe l'allattamento ai tre mesi del pupo, è guardata come l'incarnazione del male. L'anti-madonna per eccellenza. Un mostro.
Come minimo, dice l'organizzazione mondiale per la sanità, devi allattare sei mesi. Meglio ancora un anno. Se puoi, due.
La mia opinione è che i membri seduti in seno all'OMS siano tutti maschi, portatori di una visione tettocentrica della esistenza. é evidente che sognano tette dalla mattina alla sera, probabilmente cresciuti a latte articificiale e con il lontano miraggio del seno materno.
Perchè, mi chiedo, quale donna sana di mente vorrebbe avere due tette del peso di 15 chili l'una, portare un reggiseno con due comode pezze che si aprono sul davanti, meno sexy di quello in dotazione alle suore di clausura, e tenerle sempre pronte all'uso per DUE anni?
E però, a farlo per soli tre mesi, come la sottoscritta, o anche meno, come chi,  volente o nolente, il latte non ce l'ha, verrai perseguitato dai sensi di colpa per il resto della tua vita.
Ad ogni minimo malassere del pupo sentirai la coscienza insorgere "hai visto? ha le difese immunitariee basse perchè non gli hai dato il latte! Egoista!". E poi la vedrai darsi il cinque con il pediatra e le ostetriche del corso per parto.

Proprio oggi, ho appreso che non solo il latte di mamma va dato sino ai due anni, ma che, nei primi sei mesi di vita, i poveri bimbi non devono assoolutamente avere né acqua, né altri latti, né tisane.
In particolar modo, assolutamente bandite dall'alimentazione dei pupi devono essere le tisane al finocchio!
Ebbene sì, sono cancerogene. Meglio evitarle anche se si è adulti.
Non è che sia un grande sacrificio, considerato che hanno il sapore di una saponetta stantia. Però, una tisanuccia anti colica faceva comodo.
Magari ce la potrebbero sostiuire con una non cancerogena?
A quanto pare, no.
Parafraso le parole di uno dei membri dell'OMS: "Niet latte artificiale, Niet acqua, Niet tisane, solo latte di vera mamma per sei mesi. è vero che il latte di mamma fa venire le coliche al pupo, ma le coliche sono sane e fisiologiche, perchè lo aiutano a crescere!".
Vaglielo a dire ai pupi in preda ai dolori che le coliche fannno crescere, e poi diglielo pure alla madre in preda al baby blues e sveglia da 23 ore di fila che le coliche sono una cosa positiva, gli avrei risposto io.

Non solo mi chiedo perchè in certe questioni sia vietata l'applicazione del senso della misura e perchè, arrivati all'evento nascita, le esigenze della donna, così altamente considerate durante tutta la gravidanza, vengano prontamente dimenticate e la MAMMA venga sacrificata unicamente al benessere del pupo (senza pensare che quello forse starebbe meglio se avesse una mamma sana di mente e con la forza necessaria a tenerlo in braccio), ma soprattutto mi sorge spontanea una domanda :

se 'sto benedetto latte umano fa tanto bene ed è tanto buono, perchè diamine hanno immediatamente ritiritaro dal mercato il gelato al fior di latte di mamma preparato dal saggio gelataio inglese?

sabato 12 marzo 2011

Time to change

Dopo una settimana di feste della donna, manifestazioni al femminile, convegni sul ruolo della donna nel mondo del lavoro, sedute psicanalitiche sulla consapevolezza del ruolo di mamma e moglie, ho deciso di mettere in pratica il cambiamento da più parti suggerito.
Abbandonati definitivamente i panni della donna macho, mi sono recata in udienza con l’intenzione di essere in tutto e per tutto me stessa: una donna, mamma, avvocato, stanca, depressa e in sovrappeso.
Niente mise studiate per il tribunale, niente tubini strizzati, niente tacchi, ma comode scarpe da ginnastica basculanti (sì, quelle che sembrano rubate a Frankestein), pantaloni larghi con elastico in vita, golfino a collo alto e mantellona di lana.
Una comodità assoluta. La sincerità estrema. L’orrore estetico.        
In udienza c’erano anche “le mie ragazze”, gli avvocati delle generazioni future, al momento definite “praticanti”.
Nell’attesa del nostro turno al cospetto del giudice, ho, come di consueto, condotto la conversazione:
“Volete un cappuciokko?”
“no, grazie avvocato”. Le praticanti sono le uniche al mondo a chiamarmi avvocato e a darmi del lei.
“io me lo prendo, sono così stanca. Per una volta che mia figlia ha dormito, la gatta mi ha tenuta sveglia tutta la notte”.
Torno con il cappuciokko e mi decido a parlare di cose serie, argomenti che saranno utilissimi nella carriera delle mie ragazze. Le interrompono mentre disquisiscono dell’ultima riforma del codice di procedura civile, e dico “allora, avete visto i vestiti della notte degli oscar?”
Quelle mi guardano perplesse.
Fortunatamente, non hanno il tempo di replicare, perché il giudice ci chiama.
In udienza, sono un treno. Se potessi uscire da me stessa e osservarmi dall’alto, non mi riconoscerei.
Comunque, per oscure ragioni che io stessa ignoro, vado forte.
Il giudice è una delizia. In tutti i sensi.
è pacata, ma seria, e ha l’aria di essere preparata. è vestita divinamente (no, lei non indossa pantaloni con l’elastico in vita). Ed è bellissima.
Quando sorride, mi viene voglia di abbracciarla. Naturalmente, mi contengo.
Va bene essere se stesse e coltivare la femminilità, ma vorrei evitare di finire in galera per molestie.
Ad un certo punto, ci confessa che reputa la causa molto difficile. Ha ragione e glielo dico:
“è proprio vero, sapesse quanti pianti mi sono fatta sulla pratica, all’inizio”.
L’avvocato di controparte si agita sulla sedia.
Ma il giudice sorride: “la verità è che quando leggo gli atti dell’attore  non posso che dargli ragione, poi, però, leggo quelli del convenuto e do ragione anche a lui”
“L’importante è che legga sempre i miei per secondi” le dico.
Il Giudice ride, l’avvocato di controparte non ride. è un uomo, ovviamente. è carino, a modo, ha tutto quello che si conviene ad un bravo avvocato. E dunque, è ovvio, è del tutto privo di senso dell’umorismo.
All’uscita, le mie ragazze mi saltano addosso come ciwawa in crisi d’astinenza.
“avvocato” mi dicono con aria sconvolta “avvocato, ma lei è bravissima”.
“oh beh, grazie” dico imbarazzata.
“no, avvocato, diciamo sul serio. Mentre parlava ci siamo guardate come per dire, ma è proprio lei o ce l’hanno sostituita strada facendo?”.
Sono sinceramente commossa dal loro entusiasmo giovanile e non me la sento di far loro notare che il senso del loro complimento è : “ma come può quella deficiente che parla solo di moda, pannolini sporchi di cacca, gatti pazzi e diete, capire qualcosa di diritto?”.
Allora ringrazio e le lascio nella convinzione di aver appena appreso uno dei segreti di Fatima.

Poi, mi reco in ufficio. Ripasso mentalmente i suggerimenti del convengo e un articolo che avevo letto su Glamoor  "le dieci mosse per ottenere un aumento".
Busso alla porta del boss.
Faccio un resoconto dettagliato dell’udienza e poi comincio :
“sai, al convegno dell’altro giorno, sì, beh, insomma, è venuto fuori che sono un po’ sottopagata” Così dico, ma, in realtà, penso “diciamo pure che sono tenuta alla fame”.
“Mmm” mugugna, mentre legge le emails.
A questo punto, potrei anche dirgli che ho appena visto la moglie girare nuda per il centro, comunque, non otterrei alcuna reazione.
Ha già smesso di seguirmi.
Dice il giornale che devo trovare un argomento capace di catturare la sua attenzione.
“Sai in metro ho visto un tipo con l’ebook”.
Subito alza la testa: “ahh certo!! è quello il futuro” mi risponde con convinzione (il boss è un fissato delle nuove tecnologie). Lo lascio sfogare, fingendo di ascoltare il suo predicozzo sulla funzione fondamentale degli e-book per il futuro del pianeta e poi ritento:
“io penso che, a questo punto, dovrei avere un aumento”.
Glamoor dice di far riferimento alla situazione del mercato (non è che gli avvocati si trovino proprio al mercato, ma io ci provo).
“sai mi sono informata, ed è venuto fuori che gli altri studi legali pagano di più”
“e perché non vai lì, allora?”.
Già perché?
Non ci vado, perché non mi vogliono, è chiaro. Chi se la piglia una mamma avvocato che non può garantire la disponibilità 24 ore su 24? Questo ho la sensazione di non poterlo dire, allora mi fingo emotivamente coinvolta nel lavoro.
“Ma io qui mi trovo bene. Non voglio andare lì, voglio stare qui, continuare a lavorare con te che mi insegni così bene, ma essere pagata adeguatamente”.
“Non abbiamo i soldi, io stesso mi sono autotassato per poter pagare le segretarie. Mi dispiace”.
Glamour non dava suggerimenti per un caso di questo genere. Allora, improvviso.
“Sai mi sono accorta che l’altro giorno non ho avuto alcuna reazione quando mi hai detto che tutti dicono che assomigli a Colin Firth. Non vorrei che avessi pensato che il mio repentino cambiare discorso fosse un bieco tentativo di evitare di essere costretta ad un confronto sincero su questo punto”.
Tace e mi guarda in cagnesco.
“Se adesso ti dico che è assolutamente vero che assomigli a Colin Firth, che l’ho sempre pensato ma non avevo il coraggio di dirtelo, potresti prendere in considerazione l’idea di darmi un aumento?”.


giovedì 10 marzo 2011

Baby b-lo(a)w

In qualità di avvocato, non posso esimermi dal dedicare un certo numero di ore al mese all'aggiornamento professionale, e dunque ai convegni.
Non è una scelta, è un obbligo.
Poiché nessuno è interessato alla materie con cui io devo fare i conti tutti i giorni (al contrario, quasi tutti le rifuggono come la peste), sono costretta a partecipare a convegni dedicati ai temi più svariati, per me privi di concreto interesse
Ieri, invece, ho avuto la fortuna di partecipare ad un convegno interessante ed estremamente piacevole.
Titolo: la donna avvocato nella Comunità Economica Europea.
Sottotitolo: come sopravvivere al lavoro, ai figli, ai mariti, ai nonni rimbambiti, ai pets, ai tribunali, ai colleghi, ed essere donne felici.

Le brave relatrici, dati e statistiche alla mano, hanno esposto brillantemente quella che è la condizione lavorativa delle donne, e in particolare mamme, avvocato: una tragedia!

Ecco i dati.
A parità di età e di livello, le donne guadagnano circa l'80% in meno degli uomini.
Oltre il 90% delle avvocatesse (un termine allucinante, lo so. Purtroppo, non esiste altro per definirci. L'avvocato è stato maschio per così tanto tempo che la lingua ha potuto svilupparsi facendo a meno del genere femminile. Oggi, quindi, ci tocca fare i conti con l’orrido suffisso) si cancella dall'albo entro i 4 anni dall'iscrizione.
Attualmente, la rappresentanza dell'avvocatura romana annovera solo tre membri di sesso femminile su 15.
L'organo che rappresenta l'avvocatura nazionale in Italia è composto esclusivamente da uomini.

La condizione peggiore, a detta delle relatrici, è quella di chi lavora in grossi studi legali, sottoposta a boss di sesso maschile, con orari da dipendente e senza alcuna autonomia,  ma con tutte le fregature del lavoratore autonomo (e cioè l’iva e l’obbligo di pagarsi i propri contributi, oltre a nessuna garanzia di assistenza per malattia, invalidità, maternità, ecc. ).
"Pensate" ha detto con orrore una delle prime colleghe ad intervenire "negli studi associati, ci sono donne che lavorano 10 ore al giorno, per 1.500 euro lordi al mese, senza alcuna garanzia sull'avanzamento di carriera".
Ho seriamente sentito l'impulso di alzarmi per gridare "sono qui, sono qui! sono io!".
Mi guardavo intorno, mentre tutte annuivano, chiedendomi "ma davvero sono così sfigata?".
Il cerchio, però, non era ancora chiuso.
"Alle donne è stato consentito l’accesso alla avvocatura solo nel 1919. Ma, anche quando sono state ammesse a svolgere la professione, molte non godevano di alcuna libertà, impiegate negli studi paterni e sottoposte alle norme del padre".
Mi sono girata a destra e sinistra, cercando qualcuna che si sentisse tirata in ballo come me. Sottoposta alle norme paterne? Ma quando mai?
Sottoposta, non rende a sufficienza l’idea. Io sono decisamente sottomessa. Uno zerbino.
Non solo lavoro con mio padre e i suoi scagnozzi, non solo vengo pagata la anzidetta miseria lorda, ma, per garantire la sopravvivenza a me e alla prole, ricevo ancora una umiliante paghetta, sulla quale pago l'IVA!
E certo. Bisogna essere onesti.

Mentre io affondavo sempre più nella poltrona, cercando di nascondermi, il convegno andava avanti.
Quando sono stati esposti i risultati di una ricerca che ha dimostrato che le donne sono discriminate non perché non all’altezza, ma perchè più brave degli uomini, i pochi maschi rimasti in platea si sono dati alla macchia.

Il muliebre consesso, invece, è andato avanti nell’analisi e ha azzardato una soluzione: per godere di una vita privata e professionale dignitosa, per prima cosa, bisogna cambiare il proprio atteggiamento.
Diventare donne macho è sconsigliato, meglio coltivare la propria femminilità, mostrarsi sicure e motivate, senza essere aggressive, e ipotizzare una diversa organizzazione del lavoro, così da conciliare lavoro e famiglia.
Anche una maggiore partecipazione degli uomini alla vita familiare sarebbe gradita. Ma questo, secondo le relatrici, è un dato che possiamo dare ormai per assodato.
Gli uomini che non collaborano in famiglia sono destinati all’estinzione.
Sarà. Ma, se devo essere sincera, i maschilisti che mi circondano non mi pare si stiano estinguendo. Piuttosto, stanno ingrassando.
Le nuove generazioni, invece, mi riempiono di speranza.
Per la festa della donna, la Pupa ha voluto portare i fiori al padre.
“ma come” le ha detto la nonna “i fiori sono per le donne, per la mamma”.
“No, nonna” ha spiegato lei “i fiori sono per papà, perché papà senza fiori piange e poi non pulisce più la casa!”



martedì 8 marzo 2011

Minnie

Allo specchio.

Il carnevale della pupa

Oggi è martedì grasso.
All'asilo hanno organizzato una grande festa.
Sono tre settimane che ci stiamo preparando all'avvenimento.
A dirla tutta, il vestito io l'avevo già comprato prima di Natale (poi non mi si dica che non sono ben organizzata e previdente!).
Non si tratta di una maschera carnevalesca, ma di un vestito rosso a pois neri, con molte balze.
Un abitino un po' trash, che ho trovato in un grande magazzino. Una cosina simpatica che io volevo metterle a capodanno.
La nonna però mi ha gentilmente fatto notare ("ma che è 'sta schifezza immonda?") che il vestitino era un po' burino, niente a che vedere con quelli messi a disposizione da lei in stile Audrey Hepburn.
Sicché, il vestito giaceva inutilizzato nell'armadio, quando le maestre mi hanno dato la grande notizia: "l'8 marzo i bambini devono venire mascherati, è martedì grasso".
Erano più di due anni che aspettavo questo momento.
L'anno scorso il carnevale è passato in sordina. Se sei un marmocchio di poco più di un anno, tolleri a mal pena di circolare coperto da comode tutone e non vai all'asilo, il carnevale lo puoi anche saltare.
Quest'anno, al contrario, è l'evento mondano più importante della stagione.
Ebbene, sono tre settimane che elaboriamo una maschera.
Per poter scegliere con cognizione di causa, ci sono state messe a disposizione:
- un paio di corna da diavoletto, con coda e forcone
- un paio di orecchie da coniglio, con codino e cravattino
- un paio di ali da fatina, con bacchetta
- una corona da principessa con scettro e collana
- un paio di orecchie da topo, con codino nero.

Io ho subito votato per il diavoletto, così avrei potuto indossare le corna del concerto degli Ac/Dc e accompagnare la pupa adeguamente conciata.
La pupa, però, quando le indossava subita una pericolosa trasformazione. Probabilmente, applicava il metodo Stanislasky, perché diventava un vero demonio.
Appena infilate le corna, cominciava a correre come una posseduta per la casa, urlando "sono un diavoletto, sono un diavoletto",  e, brandendo il forcone come un'arma, tentava di infilzare tutti i sederi che le capitavano a tiro.
Cestinate le corna da satanasso, abbiamo provato il resto dell'armamentario.
Con le orecchie da coniglio sembrava una di playboy.
Troppo piccola.
Con le ali da fata, era scomodissimo muoversi. E poi, diciamo la verità, le ali da fata e il tutu stanno molto meglio all'Orco.
La corona da principessa cadeva continuamente. Fra l'altro, la pupa ha uno spirito proletario e, per il momento, delle principesse se ne infischia.
Alla fine, abbiamo optato per Minnie.
Del resto, la pupa l'adora.
Questa mattina si è alzata squittendo e cantando: "io non sono la pupa, io sono minnie".
Abbiamo fatto colazione con lei che si proclamava Popina, Popetta, Popolina, Popona.
Poi, ci siamo preparate. Lavate, vestite e truccate.
Le ho fatto le guance rosa. Le ho messo un rossetto rosso, strabordando volutamente (e non). E poi, con il mio prezioso Kajal, le ho disegnato un nasino nero, i baffi e lunghe ciglia.
Era meravigliosa.
Peccato che il trucco sia durato lo spazio di strapparle una foto con il cellulare.
Poi, ha cominciato a stropicciarsi tutta la faccia, diventanto una maschera di colori. Più che minnie sembrava rocky balboa a fine incontro.
Prima di entrare all'asilo, mi ha anche detto, sempre grattandosi: "mamma a me prudono gli occhi. Tu Bobbona!"
"ma se ti ho truccato solo SOPRA gli occhi e con la matita naturale? e poi che significa Bobbona?" ho chiesto.
"Significa che tu ha truccato male me!"

lunedì 7 marzo 2011

Un tempismo perfetto

I bambini sono dotati di un orologio interno perfettamente sincronizzato alle mamme.

Quelli che sono bravi a dormire, quelli ai quali insomma è stato applicato il "metodo" (quello del famoso libro), vanno a letto e si addormentano da soli (degli altri racconterò in un post che titolerà "the night horror show").
Sono circa le otto e trenta (il libro dice che quella è l'ora giusta per far assopire i pupi).
Le mamme e i papà guadagnano così quasi tre ore di libertà, silenzio e solitudine.
Tre ore accolte come la manna dal cielo. La prova che Dio esiste (e, forse, è una mamma).

Verso le 23, nonostante il riposo serale, le mamme hanno comunque l'aspetto di un budino.
è il momento di trascinarsi sino al letto.
Giunte al talamo inerte, qualcuna crolla morente, altre, come la sottoscritta, hanno ancora le forze per concedersi dieci minuti di lettura.
In breve, però, arriva per tutte il momento di spegnere la luce.
Nel buio, a seconda del grado di stanchezza, (i gradi di stanchezza sono così suddivisi: molto stanche, esauste,  in stato comatoso, moribonde, finite. Per le mamme non esiste nulla prima del molto stanche. Si svegliano in quello stato la mattina e - solo se molto fortunate - ci vanno a dormire la sera.), le mamme impiegano dai 10 secondi ai 5 minuti per addormentarsi. Ma cadono in uno stato catalettico quasi subito, avvolte dalla sensazione di essere state fagocitate dal materasso.
Quale che sia il tempo impiegato per passare dalla catalessi al sonno pesante, esattamente un nano secondo prima del definitivo abbandono alle braccia di Morfeo, scatta il richiamo bambinesco.
Muti sino ad un attimo prima, beati e paciosi fra le loro coperte, non appena la mamma chiude gli occhi, quelli la richiamano prontamente e furiosamente all'ordine.
Il risveglio non è mai delicato. Non si comincia mai con mugugni o agitamenti di lenzuola. Si parte invece immediatamente con un boato spaventoso, un urlo belluino che lacera i timpani : "UAAAAAAEEEEEEEHHHH"
Seguito, repentinamente, da un "MAAAMMMMA BUUUUUUU".
L'evento si ripete più volte nel corso della notte. Le più fortunate riescono a sperimentarlo anche durante il giorno.
La mamma si è svegliata per un qualsiasi motivo alle tre di notte? Sta proprio per tornare a sognare il suo ingresso in casa Di Caprio, quando il silenzio della notte è squarciato da un tremendo ululato.
Alla mamma è stato concesso un momento di libertà? I Pupi sono stati presi in consegna da nonni, zii, zingari di passaggio? La mamma ha già sistemato tutta la casa, preparato la cena, messo su dieci lavatrici? Si è infine accasciata sul divano come un souffle sgonfio e sta lasciando precipitare le pesanti palpebre?
Ed ecco il citofono strombazzare ferocemente "DRIIIIIIIIIIN".
I Pupi sono rientrati.

Mi chiedo se questo  perfetto tempismo bambinesco sia quel legame speciale che dicono esista fra mamme e bambini.
Si tratta forse di quell'empatia che si sviluppa dentro la pancia, si coltiva con l'allattamento, cresce insieme a noi?
Quella sensazione unica e inspiegabile che un uomo non potrà mai capire?

Questa mattina, dopo una notte costellata di decine di urla e conseguenti levatacce, ho avuto un chiaro segnale in tal senso.
"buongiorno" ha detto l'orco quando io e la pupa eravamo ormai sulla porta di casa, lavate, mangiate e vestite di tutto punto. Mi ha guardata con aria complice e ha aggiunto:
"stanotte abbiamo dormito proprio bene, eh?"

venerdì 4 marzo 2011

Lezioni di vita

1. La nascita

Da quando le gravide ci hanno fatto visita, la pupa è in preda ad un' incontenibile eccitazione da apprendimento ostetrico.
La casa sembra diventata un reparto di maternità.
I suoi album da disegno sono pieni di figure munite di grandi pance con dentro piccoli scarabocchi dalle fattezze umane.
Dice a tutti quelli che incontra "alla zia cresce un bimbo nella pancia", mentre osserva furtiva se c'è qualche altra grossa pancia in giro.
Ieri, si è infilata pisolino sotto il pigiama e mi ha detto "adesso lui cresce e poi esce". Dopo un po' l'ha tirato fuori. Che delusione vedere che era rimasto uguale!
C'ha riprovato, ma niente! Allora ha provato con i cari vecchi metodi: gli ha spalmato sulla faccia un po' di pennette al pomodoro.

2. I rapporti sociali.

Dicono le maestre che la pupa sia molto popolare.
Popolare, hanno usato proprio questo termine, suscitando il mio ribrezzo.
Poi, per fortuna, hanno aggiunto "non è che sia simpatica; anzi, tratta male quasi tutti, ma gli altri bambini la cercano sempre e, se manca, chiedono subito di lei".
Ho capito, in pratica, in italiano, Popular si traduce "bullo".

3. L'unione.

A due anni compiuti, la pupa ha capito che era giunto il momento di sfruttare la propria popolarità.
Ha scelto il più popolare della scuola, I., e ci si è fidanzata.
Si sono scambiati dei cuori disegnati, qualche bacio e parecchi microbi, e hanno suggellato il loro amore.

4. La rottura

Il guaio a scegliere quello più popolare della scuola è che non ti puoi distrarre un momento.
E così, al ritorno da un periodo di malattia, la pupa ha scoperto che il suo fidanzato aveva ben due concubine.
"sono tutte innamorate di lui" mi hanno confidato le maestre.
La sera, ho indagato con la pupa: "come va col fidanzato?"
"mmm, lui bacia R." ha risposto tristemente.
"ma perchè allora tu non baci G.?" ho replicato io, ricorrendo al mio proverbiale senso pratico (morto un papa, ne troviamo rapidamente un altro).
"ma a me non piace G. A me mi piace I.!" mi ha risposto candidamente, sempre più depressa.
Ho deciso che è ancora troppo piccola per distruggere le sue illusioni romantiche, confidandole la conclusione cui sono giunte milioni di donne, e cioè che se il fidanzato ti molla  devi correre a ringraziare la madonna e stappare una bottiglia di champagne.
Così, l'ho distratta con un libro.


5. La vecchaia

"Papà, ma dove sono i tuoi capelli?"
"sono caduti"
"caduti?? e perchè?"
"perchè sono stato sfortunato"
"no, io dico che è perchè sei vecchio"

"Mamma, ho male alla gamba"
"come mai, amore? hai sbattuto?"
"no, sono vecchia! i vecchi hanno male alle gambe"
"mmm, boh, sì anche, Ma tu sei grande, non sei vecchia"
"papààà, tu hai male alla gamba?"

giovedì 3 marzo 2011

La pagella

Ieri, ho avuto il primo colloquio genitori insegnanti della mia vita.
Credevo si trattasse un incontro molto informale, per riferire a genitori in ansia che i loro pupi sono, più o meno, normali.
E invece, la riunione è durata più di un'ora e, al termine, mi hanno consegnato una pagella.
Ho così capito per quale ragione tutti i genitori che hanno avuto i colloqui i giorni passati, da me incrociati mentre mi recavo all'incontro, mi abbiano preso in giro:
 "aha, adesso vediamo quanto ha preso la pupa in ginnastica, eh?"
"ah sei qui per la pagella!Vedrai che roba!".

Ebbene sì.
La pagella è un documento di circa otto pagine, scritte in un fitto e formale inglese per me quasi incomprensibile, arricchito da voti e brevi valutazioni degli insegnanti.

Ho così scoperto che al nido di mia figlia si insegnano ben otto materie.
Se  qualcuno pensava che il nido fosse un posto dove parcheggiare i pupi da 0 a tre anni, giusto per farli dormire, mangiare e giocare, devo immediatamente redarguirlo.
Il nido è una cosa seria.

Dalla pupa si praticano i seguenti insegnamenti.
Prima di tutto, lingua, anzi lingue, italiano ed inglese, con tanto di annessa letteratura.
Da gennaio, hanno cominciato la matematica; ci sono, poi, le scienze naturali, l'arte, le scienze motorie (gros e fine, così dice la pagella. In pratica, se ho ben capito, con gros si intende qualcosa tipo "è un teppista, corre a destra e sinistra, si arrampica come un folle e salta come un uragano", con "fine" qualcosa tipo "sa tenere in mano una matita e una forchetta, ogni tanto si siede per svolgere queste attività"), nonché il laboratorio di cucina, la musica, e i diritti umani.

I voti sono espressi in stelle. La stella piccola e malconcia equivale ad un sufficiente (per lo meno, hanno avuto la pietà, verso noi genitori, di non scendere sotto la sufficienza); la stella media è un discreto; la  stella grande, molto buono; la stella grandissima sta per eccellente.
La pupa ha  molte stelle grandi e grandissime.
In musica, però, ha la stellina, l'equivalente di una chiavica. Il commento delle maestre, liberamente tradotto dall'inglese, è "si rompe a cantare, non gliene frega niente di suonare uno strumento e comunque è stonata come una campana".

Con le lingue, invece, è brava, specie in italiano, ma sta imparando molto anche in inglese, assicurano le maestre (e, in effetti, si aggira spesso per la casa chiedendo "dov'è il pennarello GREEN chiaro?").

Il giudizio è buono anche per la matematica: sa contare fino a dieci in italiano e in inglese e riconosce i simboli fino al tre. Praticamente, è pronta per iscriversi ad ingegneria quantistica!

Le scienze naturali le interessano. Infatti, spiegano le maestre, gira per il giardino alla ricerca di foglie e rincorre le galline fino a che non le mollano almeno un paio di uova (le pollastre erano tenute all'asilo per insegnare ai bambini le scienze naturali, ora, però, per il loro benessere, sono state portate in campagna).

In cucina se la cava, sa usare tutti gli utensili da sola, in particolare, i cucchiai con i quali lecca le cuccumelle con gli impasti crudi delle torte (anche cuccumella è libera traduzione dall'inglese).

Una materia in cui davvero eccelle è la ginnastica (altrimenti detta, scienze motorie). Si lascia coinvolgere nei giochi dei grandi e non ha timore di nulla. In sostanza, è stata recuperata più volte appesa a testa in giù sulla scala dello scivolo o in piedi sui rami degli alberi.
Pare poi che faccia comunella con una bimba che ha il doppio della sua età e del suo peso e che la usa come una specie di palla mascotte, lanciandola a destra e sinistra, con piena soddisfazione di entrambe.

Purtroppo, invece, è scarsa in diritti umani. L'asilo tenta di insegnare la dichiarazione dei diritti umani ai bambini. In particolare, per questo tramite, cercano di trasmettere loro l'amore e il rispetto per il prossimo. Una iniziativa lodevole. Peccato che con mia figlia non abbiano trovato terreno fertile.
La pupa conosce due soli verbi, imperativo e indicativo presente. Ma il preferito è di gran lunga l'imperativo.
Se chiede per favore o please è perchè sotto minaccia, altrimenti si limita ad urlare come un ossesso: "Voglio acqua, acqua, acqua!!!" "Water, water, water" se alle sue richieste non segue una reazione immediata, riprende urlando più forte "ho detto acqua!!!!". 
Condivide i giochi con gli altri bambini e non è aggressiva, tuttavia si rifiuta di rimettere in ordine dopo aver giocato e se le maestre tentano di coinvolgerla risponde loro quello che io mi sento dire da quasi un anno "no, io non metto a posto, metti a posto tu!" (di fronte alle mie insistenze, chiama la tata e ti dice "deve mettere a posto lei!". A dire il vero, su questo punto, non è che avrebbe proprio torto...).

In arte, invece, per fortuna, è bravissima. Dipinge benissimo e ovunque (tanto che hanno dovuto tappezzare i muri per impedirle di "decorare" l'intero asilo).
Ho così potuto raccontare alle maestre del bellissimo ritratto che mi ha fatto.
"era una palla proprio bella rotonda, è riuscita a fare anche la frangetta e gli occhi e la bocca" ho spiegato.
"ma è straordinario per una bambina di due anni"
"beh sì,  infatti ne sono stata felicissima. E ancora non vi ho detto la cosa più bella: sotto la bocca mi ha fatto due pallini, le ho chiesto cosa fossero e lei mi ha detto "sono le tette di mamma"!"
E mentre le maestre avevano le lacrime dal gran ridere, mi è venuto un sospetto: non mi vedranno mica come una palla di lardo con le tette?

P.S.
Oggi sono profondamente avvilita, perchè il magnifico ritratto di cui sopra è andato perso. Ho voluto scrivere questo post, proprio perchè ne rimanesse una qualche traccia.
Stasere tenterò di farmene fare un altro, ma non sarà mai la stessa cosa.

P.S.s.
Ringrazio di cuore le straordinarie e dolcissime maestre della pupa. Preparate, affettuose, disponibili, belle e simpatiche. Non potevo desiderare di meglio come prima esperienza scolastica.

mercoledì 2 marzo 2011

Una serata tranquilla

Cosa desidera la mamma lavoratrice al termine della sua lunga giornata?
Una notte di passione con un bel fusto?
Una serata divertente con le amiche?
Andare a ballare con gli amici gay?
Non scherziamo, prego!
Ogni mamma lavoratrice che si rispetti -giunta faticosamente all'ora di cena, viva - desidera una cosa sola: andare a letto, possibilmente da sola, e dormire almeno 10 ore di fila.
Ovviamente, è un'utopia. Ma lasciateci almeno sognare.
Ecco, invece, quello che succede, tipicamente e consetuamente, alla mamma lavoratrice di rientro dal lavoro.

Esce dall'ufficio e piove. Anzi, no, diluvia. Goccioloni grossi come limoni.
La mamma non ha l'ombrello. Ha, però, una borsa grossa come la capanna dello zio Tom, una valigia con dentro un computer modello commodor 64 e il cestino nel quale si è portata il pranzo dietetico ed economico, per un totale di circa 50 chili.
Dopo un'attesa di circa 30 minuti sotto l'acqua scrosciante, la mamma sale sul tram.
Il tram è pieno di gente che spinge e che non mostra alcuna tolleranza per i  fardelli che la mamma reca con sé.
Si aggira per il tram anche un mendicante ubriaco. Il poveretto non sta in piedi e precipita rovinosamente sopra la mamma. Fra i due non si sa chi faccia più fatica ad alzarsi. Lui, però, viene aiutato, la mamma no.
Lungo il tragitto, la mamma riceve due telefonate.
La prima è della tata: "signora ma che faccio io? sua figlia a casa non c'è!"
"lo so, è dalla nonna, ma starà per tornare. Magari intanto potrebbe, non so, sistemare la casa?" azzarda la mamma.
La seconda è della nonna "ciao, che fai?" "sono in tram" "ah ecco, allora magari potresti venire a recuperare la pupa? sai piove e io sono stanca".
La mamma raggiunge la macchina e si incalana nel traffico per andare a riprendersi la figlia.
La recupera e ripartono insieme alla volta di casa.
Proprio mentre stanno per scendere dall'auto scoppia un diluvio biblico. La mamma scarica prima tutti i suoi bagagli: borse, buste della spesa, zainetto della pupa, regalini della nonna, commodor 64, cestini del pranzo.
Poi, recupera la bambina. Intanto, stanno rientrando tutti i vicini di casa e la pupa organizza un piccolo teatrino, così su due piedi.
Ci sono tutti i suoi uomini preferiti, l'occasione è unica e lei sa che non può lasciarsela sfuggire.
Mentre quelli sono intenti a recitare ciascuno le proprie parti e la mamma si carica di tutti i bagagli, scoppia un tuono mostruoso. Un fulmine è praticamente caduto sulla testa della mamma e il tuono è stato veramente assordante. Mai sentita una cosa simile, prima. Gli adulti sono tutti attoniti e un po' spaventati.
La mamma corre, oddio la pupa sarà in preda al panico, pensa, ma quella, invece, canta e balla come se niente fosse.
Si approda finalmente al nido familiare.
Le nostre eroine entrano in casa e chiamano la gatta. Silenzio.
Organizzano una cena, guardano peppa pig e  mangiano.
Della gatta nemmeno l'ombra.
In cucina, però, c'è cattivo odore. Odore di pipì di gatto.
"ma pecché mamma?" chiede la pupa.
"ha boh" replica la mamma.
Sul finire della cena, si sentono strani rumori provenire da sotto i mobili della cucina. Le due si sporgono a guardare. Vedono la gatta che si sta faticosamente trascinando fuori dal pertugio in cui si è ficcata (con tutta quella ciccia, dico io, come le sarà venuto in mente?).
é ricoperta di pipì e puzza come un carro bestiame.
Oddio, se l'è fatta sotto dalla paura, pensa la mamma. La mamma sa che la gatta ha il terrore dei tuoni, ma non pensava arrivasse a tanto. é sempre stata così pulita e raffinata.
Poverina, è ancora così spaventata che non vuole nemmeno mangiare.
Così, però, non si può tenere. Quella ha l'abitudine di dormire sul mio cuscino e non posso mica morire di puzza, pensa la mamma.
"Pupa, dobbiamo lavare la gatta" annuncia.
"sììì evvai!" grida entusiasta la pupa.
E così il resto della sera trascorre in bagno.
La mamma, esausta, lava i denti alla pupa "non mmm piace nuovo dentifrisio".
"quando finisce compro quello nuovo, ora zitta e lava".
Lava le mani e la faccia alla pupa e poi cattura la gatta.
Il felino viene tenuto fermo nella vasca idromassaggio (ma di che si lamenta, poi? mica tutti i gatti vengono lavati nell'idromassaggio!). Tenere fermi dieci chili di grasso non è semplicissimo.
La gatta sembra il blob, rotoli di ciccia sgusciano da tutte le parti. La pupa ovviamente vuole intervenire, le afferra la coda. "buona tootsa, boona. Adesso noi usa lo sciampo mio e lo spledol, vedrai come profuma!".
"no amore, la laviamo con il suo shampoo, è meglio!"
La mamma prende lo shampoo spray per gatte pisciasotto e lo spruzza sul pelo della povera bestiola. Quella si dimena come una furia, ma alla fine in qualche modo sembra pulita.
Quasi profuma.
La mamma è ormai convinta che la belvetta sia traumatizzata a vita: prima un tuono da fine del mondo e poi il bagno, cosa ci può essere di peggio nella vita di un felino?
Ma quella invece, quella creaturina docile e affettuosa, è felicissima. Si arrotola sulle gambe di mamma e pupa e fa le fusa.
é impazzita del tutto, pensa la mamma.
Ma poi la vede sdraiarsi sopra un vecchia copia di vogue a sistemarsi il pelo e capisce. Una gatta cresciuta a vogue e sex and the city non può essere felice di girare col puzzo di pipì.
Una mamma sfinita, invece, forse, sì.

martedì 1 marzo 2011

Piccole Pance Crescono

Finalmente le mie amiche sono incinte.
Intendo dire le mie amiche-amiche, quelle i cui figli mi chiameranno Zia.
Dico finalmente non perchè ci siano arrivate tardi  (le mie amiche sono tutte giovani e carine), ma perchè io ero in trepidante attesa da quando ho visto il mio primo test di gravidanza positivo.
Certo, non è che puoi andare dalle amiche e dirgli "ma allora, che diamine stai aspettando???". Sono argomenti delicati.
Io, però, naturalmente andavo da tutte a chiedere "ma allora che fate in camera da letto, dormite????".
Ho avuto anche la quasi irrisistibile tentazione di telefonare ai mariti per incitarli "ohh la vuoi tenere sveglia la notte??? non vorrai mica lasciarla riposare in pace??!".
Per fortuna, almeno da questo, mi sono trattenuta.
Con le mogli invece no, non mi sono trattenuta. Ma, in fondo, sono le mie amiche e posso dirgli quello che penso, almeno spero, e quello che pensavo era "su forza mettete in cantiere un bel pupo".
A dire il vero, non sono poi molte quelle con cui potevo esercitare queste pressioni.
Su alcune so che dovrò aspettare ancora un po' e paziento silenziosamente.
Sugli amici maschi ho decisamente perso le speranze. Già trovargli una donna sembra una missione impossibile, figuriamoci trovarne una disponibile a sfornare bambini subito.
Però, certe amiche mie, sì insomma, erano proprio pronte: sposate, con casa, lavoro, i nonni. Insomma che altro ci vuole????

Ma ho atteso stoicamente e sono stata premiata.
Domenica, ho avuto la buona novella.
Mi è venuta a trovare una delle mie amiche lontane. Ha atteso un minuto e mezzo prima di darmi la notizia. Forse si aspettava che me ne accorgessi, ma figuriamoci se smentisco la mia proverbiale rimbabitaggine.
Alla fine è sbottata: "mi hanno messo all'ingrasso".
Io ho  negato, ovviamente: "macché sei magrissima".
"sì, ma è che, insomma, sono incinta. Sono al quinto mese"
"cosaa???" ero al settimo cielo.
E però mi sono concessa un pensiero (che peraltro ho eslicitato) : cosaaaaaa??? come al quinto mese??? con quel pancino invisibile?
Io al quinto mese ero già un pallone aerostatico pronto ad esplodere.
Al quinto mese, dovevo andare dai premaman taglie forti.
Al quinto mese, ero come mia madre il giorno prima del parto.
Al quinto meso, sono andata ad un matrimonio e a la mamma di un amico mi ha detto: "wow! sei già arrivata al termine!".
"Al termine di cosa, signora?" ho chiesto, mentre pensavo che fosse lei, piuttosto, ad essere arrivata al termine dei propri giorni.
"Ma della gravidanza è chiaro!"
"veramente no, io partorisco a fine novembre" ho risposto, algida.
Sono sicura che, benché fosse luglio, la signora abbia iniziato a sudare freddo.
La mia amica ha la pancia che io ho, adesso, dopo il pranzo della domenica.
"beh ma sai ho vomitato sempre fino a due settimane fa" mi spiega. "ero anche dimagrita".
Ma cavolo sempre agli altri 'ste fortune? ho pensato.
Lo so che vomitare non è una bella fortuna.
Ma posso assicurare che neppure ingurgitare dieci chili di cibo al giorno e piazzarli tutti fra pancia e fianchi e avere ancora fame è bello.
Comunque, per festeggiare abbiamo stappato una bottiglia di champagne e mi sono fatta raccontare tutto, tutto, ma proprio tutto, dal primo giorno a ieri.
"come lo hai capito?"
"dalle tette!"
"verissimo!" ho confermato "diventano subito enormi e fanno male, vero?"
"assolutamente, pensa che mi è venuta la terza"
La terza?????????
"sì" conferma il marito, tutto contento.
No, ma dico, la terza??? Io ce l'avevo in quinta elementare, la terza!
"e a te?" mi chiedono (e io penso, perdonali perchè non sanno quello che fanno).
"Io avevo la sesta, una bella fortuna, pensa che se precipitavo potevo usare il reggiseno come paracadute".